La donna del mese di aprile é Mathilde Galli, vincitrice del primo premio di incentivazione per lavori scientifici sulla parità di opportunità e le questioni di genere. Il suo lavoro si intitola „Pace al femminile. Il contributo delle donne ai negoziati di pace sull’esempio colombiano“, avendo completato una laurea magistrale in Relazioni Internazionali e Sicurezza Globale, presso l’Università „Sapienza“ di Roma.
Kannst du dich kurz vorstellen?
Sono Mathilde Galli, classe 1999, nata a Bolzano. Sono cresciuta nel piccolo paese di Montagna in Bassa Atesina in una famiglia bilingue: mamma altoatesina di madrelingua tedesca e babbo fiorentino. Oggi abito a Roma, ma ho trovato un “Zuhause” anche a Parigi, Amburgo e Forlì. Rimango però radicata nel bosco che circondava la mia casa di infanzia, dove, insieme ai miei cugini e mio fratello passavamo tutte le nostre giornate, costruendo case sugli alberi, raccogliendo castagne, giocando a nascondino. Penso che quel posto e quelle dinamiche hanno avuto una forte influenza sulla persona che sono oggi. Essere l’ultima di una generazione di fratelli e cugini ha fatto sì che oggi sono molto indipendente, ma principessa quando serve 😊
Du hast eine sehr starke politisch engagierte Mutter – inwieweit haben sie dich gefördert, geprägt mit gesellschaftlichen politischen Themen.
Sono convinta che la famiglia ci formi in maniera importante, nel bene e nel male. Io nella mia ho sempre trovato il mio posto sicuro pieno di amore e soprattutto un sostegno incondizionato e questo ha sicuramente contribuito molto alla mia consapevolezza e alla sensibilità che ho per certi temi. La società, non solo noi donne, deve tantissimo alle donne che sono venute prima di noi e hanno lottato incessantemente per una società più equa. Avere una donna che non ha mai mollato un millimetro su questi temi come mamma mi ha dato ispirazione sin da piccolissima, e rimane il mio più importante punto di riferimento. Del resto, si vede nella foto in cui nei primi anni Duemila sventolo la mia prima bandiera della pace, che qualche forma di influenza c’è stata sin dall’inizio.
Dein Studium konntest du in Rom abschließen – hattest du auch andere Studienplätze ins Auge gefasst?
Per me Roma era la scelta più logica. Volevo iniziare ad indirizzare la mia carriera universitaria verso il mio obiettivo finale, il ministero degli affari esteri. Per me era molto importante iniziare a vivere questa città, e cogliere tutte le opportunità che offre. Ero anche interessata ad un altro master che si divideva tra Pisa e Trento. Poi Roma mi ha subito conquistata, e non mi sono mai pentita.
Hattest du Gelegenheit gehabt, Praktikas zu machen, was dich auch im Studium weitergebracht hat?
Ogni piccolo lavoro o tirocinio che ho fatto mi ha formata. A partire dalle lunghe stagioni in albergo sin dai primi anni del liceo, al tirocinio alla Tageszeitung a Bolzano, all’ambasciata d’Italia in Qatar e infine, al Consolato italiano a Parigi. Sono esperienze molto diverse, ma le ho vissute a pieno e influiscono tutte in un modo o in un altro sui traguardi, sia quelli piccoli che quelli grandi. Una parte fondamentale del mio percorso formativo (e che ha contribuito probabilmente in maniera ancora più forte alla mia crescita personale) sono state le esperienze all’estero: un semestre all’estero in Spagna in quarta liceo e due Erasmus all’università. Il primo Erasmus l’ho fatto durante la Triennale ad Amburgo e il secondo, durante la magistrale, a Parigi.
Du hast heuer den erstens Förderpreis für wissenschaftliche Arbeiten zur Chancengleichheit und Geschlechterfragen bekommen. Deine Arbeit war „Pace al femminile. Il contributo delle donne ai negoziati di pace sull’esempio colombiano“, da du ein Masterstudium zu Internationale Beziehungen und globale Sicherheit, an der Universität „Sapienza“, Rom absolviert hast.
Wie bist du auf Kolumbien gekommen und zu solch einem Thema?
La Colombia è un esempio sia di esclusione delle donne dai processi di pace, che di inclusione. Sin dagli anni 70 venivano aperti tavoli negoziali in Colombia tra il governo e i diversi gruppi armati, e le donne chiedevano di essere incluse perché subivano in maniera sproporzionata gli effetti del conflitto colombiano, perché avevano molte idee per la pace e perché senza dare ascolto alle loro voci e richieste non sarebbero cambiate le disastrose condizioni in cui vivevano. Fino al 2013 gli accordi di pace non includevano le donne (organizzate in gruppi di donne, associazioni femminili e femministe). Solo nel 2013, durante i negoziati tra il governo e le FARC le donne furono finalmente incluse e questo ha prodotto un accordo di pace (2016) estremamente innovativo. Furono effettivamente risolti (o almeno ci si impegnava a risolvere) i gravi problemi strutturali della Colombia, dalla distribuzione delle terre, all’inclusione e la partecipazione politica delle società rurali, dalla presenza dello Stato contro il narcotraffico, ai meccanismi di verità e giustizia. Tutte queste riforme sono accompagnate anche da un approccio di genere. Le disposizioni specifiche per le donne sono circa 130. Negli accordi di pace che sono stati conclusi in Colombia in assenza di donne al tavolo negoziale le disposizioni che riguardano specificamente le donne sono quasi sempre meno di 5.
Konfliktsituationen gibt es leider mehr denn und wir sehen auch, dass die Einbeziehung der Frauen in Friedensverhandlungen kaum wahr genommen oder in Betracht gezogen wird.
È ormai un dato di fatto che il lavoro delle donne si svolge quasi sempre in sottofondo, a porte chiuse, lontano dai riflettori. I lavori di cura ne sono un ottimo esempio. Nella storia ci sono state migliaia di donne inventrici, autrici, scienziate, filosofe, politiche ecc. il cui nome è stato cancellato dalla dominazione del patriarcato. Ancora oggi, le donne lavorano incredibilmente per la pace, ma non lo vediamo. Nei negoziati ufficiali le donne sono meno del 10% per quanto riguarda le negoziatrici e meno dell’1,5% delle firmatarie (senza contare l’esempio colombiano che è un’eccezione). Ma circa ¾ del lavoro informale per la pace viene fatto dalle donne. Si tratta di campagne di sensibilizzazione, colloqui e mediazioni tra le parti, sforzi di pacificazione e così via. Ad esempio, in Yemen, le donne hanno negoziato l’accesso civile all’acqua, e nel 2023, in Sudan, più di 49 organizzazioni femminili hanno formato la „Peace for Sudan Platform“ per spingere per un processo di pace inclusivo, in Ruanda, dopo il genocidio, sono state le donne a iniziare con le prime azioni di conciliazione e ricostruzione.
Bereits in der Geschichte während des 1. Weltkrieges haben Frauenpersönlichkeiten eine weltweite Anti-Kriegs-Aktion auf die Beine gestellt und starteten einen Aufruf in internationalen Frauenzeitschriften, welche prompt zahlreiche Gruppen in Europa, Amerika und Asien erreichten.
Doch all diese Bewegungen wurden leider zerschlagen.
Wieso wiederholen sich solche Vorfälle? Was wäre daraus zu lernen?
Il Congresso delle donne all’Aia del 1915 è un Leitmotiv in tutta la mia ricerca. Oltre mille donne di moltissimi paesi belligeranti si incontrano in piena guerra mondiale e stilano un programma per la pace. Tutte le loro proposte di allora sono ad oggi realizzate (autodeterminazione dei popoli, soluzione delle controversie attraverso mezzi diplomatici e tribunali internazionali ecc.) e fanno parte del diritto internazionale. Ma queste proposte c’erano già nel 1915. Maggior parte vennero attuate nel 1945 ed alcune solo negli anni Novanta. Le donne portarono tutte le proposte ai governi in guerra, ma non ne volevano sapere niente. Le donne volevano partecipare alle conferenze di Parigi dopo la Prima guerra mondiale, ma furono rifiutate. Erano considerate “troppo pacifiche” e la Germania andava punita. Il resto è storia. Cosa concludere? Se solo avessero dato più ascolto alle donne.
Kann also im 21. Jahrhundert doch zu hoffen sein, dass Frauen in den Friedensbemühungen eingebunden werden?
Dalle molte lotte femministe impariamo che la strada è sempre lunga e molto difficile. Anche le donne colombiane dimostrano che dopo oltre 40 anni di mobilitazione, organizzazione, sensibilizzazione non possono più essere ignorate. Io vedo che le donne, oggi, non si stanno rassegnando, anzi. Mi sembra che anche tra le più giovani ci sia sempre più femminismo. Dal basso la lotta continua, anche attraverso un’intricata rete di associazioni, organizzazioni internazionali e NGOs, e think tank. Avere uomini e governi dalla nostra parte darebbe una bella spinta.
Wie schätzt du die derzeitige Lage der rechten Regierungen ein, die zum Teil auch von rechten Frauen geführt wird?
Per me la questione non è “se sei donna sei più buona” oppure, per quanto riguarda la mia tesi “se sei donna sei più pacifica”. Sono le situazioni che vivi e i valori in cui credi a formare la personalità. E vivendo molte donne in una società che è fatta a stampo per opprimerle, tendenzialmente, sono accomunate dalle stesse sofferenze. Questo non esclude però donne che in queste strutture patriarcali si sentono perfettamente a loro agio, oppure le condividono abbastanza da rappresentarle.
Mathilde, du bist noch jung – welchen beruflichen Weg möchtest du gehen?
Sto studiando per entrare a far parte del corpo diplomatico italiano. Devo prima passare un concorso abbastanza tosto, ma ci sto lavorando. Cosa mi affascina della diplomazia è il fatto che sia capace di creare relazioni, di costruire ponti con il resto del mondo, di diffondere cultura e conoscerne di nuove, di trovare punti in comune. Rappresentare il mio Paese in questo lavoro sarebbe per me un grandissimo onore. Se questo piano non dovesse realizzarsi mi piacerebbe anche lavorare per l’Unione europea. Il progetto europeo mi entusiasma moltissimo e offre moltissimi ambiti in cui lavorare. Inoltre, mi piace l’idea di restituire anche solo una parte di tutto ciò che ci ha dato l’Unione europea. Infine, mi stimolano anche i lavori sul territorio, lavorare per una ONG in teatri di crisi o, in generale, in situazioni dove c’è bisogno di una mano.
Was gibt dir in deinem Engagement Kraft und Ausdauer?
Direi che faccio il pieno di forza nella mia rete di donne. Mia mamma, le mie migliori amiche di sempre, le mie compagne di università, le mie coinquiline, le mie amiche all’estero. In alcuni momenti c’è bisogno di un pep-talk e un confronto per saper gestire meglio alcune situazioni. In altri, invece, ho bisogno solo di quelle risate fortissime che mi sanno provocare.
Per compensare posso contare anche su delle spalle maschili, ossia del mio babbo, di mio fratello e del mio compagno.
Wie verbringst du deine Freizeit und welche Hobbys kannst du nachgehen?
Trovo svago e leggerezza nei libri, nei viaggi, nel fare gli album delle foto, in una partita di pallavolo, e soprattutto in una lunga sessione di “sonnenbaden”. Una parola che purtroppo la lingua italiana non ha saputo inventare. Ricarico energie soprattutto stando con persone, con le mie amiche. Ma so essere anche estremamente pigra e sin da piccola sono bravissima nel tenermi compagnia anche da sola. Queste due cose fanno sì che non c’è bisogno di molto per intrattenermi.
Welches sind deine Vorbilder?
Mia mamma è la mia stella polare.
Poi provo una profonda ammirazione per le madri costituenti della nostra Costituzione, anche loro quasi sempre dimenticate a favore di un canonico “padri costituenti”.
E poi c’è un gruppo di ragazze afgane che ho avuto il piacere di conoscere quando ho fatto il mio tirocinio in Qatar. Loro sono membri di una squadra di robotica, le “Afghan Dreamers” che hanno ottenuto delle borse di studio per lasciare l’Afghanistan e andare a studiare in Qatar, proprio quando Kabul è caduta in mano ai Talebani. Ora vivono un po’ ovunque nel mondo, ma sono unite nell’attivismo per le milioni di donne afgane a cui viene proibito di esistere, praticamente. Lottano incessantemente per i diritti delle donne, per le donne afgane e per le donne nella scienza. Hanno una forza e una determinazione incredibile, considerando anche che le loro mamme e sorelle si trovano ancora in Afghanistan.
Dein Motto (nur wenn du eines parat hast)
Da instancabile ottimista e per tradizione familiare seguo sempre la massima “Poteva andare peggio”.
Ringraziamo Mathilde Galli per l’intervista e le auguriamo buona fortuna.
Sissi Prader