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„they took away our voice. so we will tell our story through pictures instead“

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Donne a cui hanno strappato la voce. Donne in bilico tra passato e futuro, tra crudeltà e speranza. Donne aggrappate al presente attraverso una macchina fotografica. “They took away our voice. So we will tell our story through pictures instead” (Si sonopresi la nostra voce. Allora noi racconteremo la nostra storia con le immagini) è il titolo della eccezionale mostra fotografica che verrà innaugurata il 3 febbraio 2023 alle ore 18.30 al Museo delle Donne e che raccoglie oltre cinquanta scatti di donne che frequentano la scuola di fotografia del campo profughi di Diavata (Grecia).

La “Photography School” nasce nel nord della Grecia nel novembre del 2020 all’interno di Casa Base, il “safespace” creato dall’Ong QRT (Quick Response Team) per la popolazione femminile del campo profughi di Diavata, a nord di Salonicco. A fare da tutor in questo progetto è il friulano Mattia Bidoli.

All’interno della struttura – spiega Bidoli – abbiamo creato un’aula di fotografia dove le ragazze e donne che vi partecipano possano sentirsi al sicuro e libere di esprimersi. Fotografare è un mezzo per creare una relazione, un mezzo per guardare agli altri e al mondo in modo personale, intimo, ti stimola a esplorare, a conoscere e conoscerti. Ti insegna a non avere paura.

La fotografia è in grado di cambiarti: sia che tu stia da una parte o dall’altra dell’obbiettivo alcune foto hanno il potere di evocare contenuti emotivi, pensieri e significati dei quali alle volte non si è consapevoli a un primo sguardo, commenta ancora Bidoli.

Non c’è altro modo che la conoscenza per affrontare il complesso fenomeno globale delle migrazioni i cui effetti si riversano sulla nostra società europea che stenta a dotarsi degli strumenti necessari a comprendere e risolvere. Queste immagini hanno il pregio di ricordarci con la forza del loro dirompente impatto visivo che dietro la parola “migrante” c’è una persona con un volto, una storia, una speranza di vita legittima come la nostra.

Portare quella loro fortissima preghiera per immagini chiusa da recinti e mura il campo profughi di Diavata, ci è sembrato fortemente simbolico: nessun muro di pietra è invalicabile, sono ben più difficili da abbattere i muri che gli uomini costruiscono nei confronti dell’altro. Auspichiamo che il messaggio positivo di questa mostra venga raccolto e possa aprire una breccia nel cuore degli uomini.

Dal 2020 a oggi sono più di 40 le ragazze e donne del campo di età compresa dai 10 ai 34 anni che hanno preso parte alla scuola di fotografia. Provengono da Afghanistan, Iran, Kurdistan, Iraq, Siria ed hanno alle spalle storie di oppressione, di paura, di dolore, ma anche di speranza e riscatto.

Con le loro opere fotografiche queste donne hanno all’attivo diverse mostre fotografiche in Europa e collaborazioni di prestigio anche con l’Agenzia Onu per i rifugiati (UNHCR), Medici Senza Frontiere, Art 4 Humanity e diverse realtà.

I loro lavori sono apparsi su diversi quotidiani e magazine internazionali (CNN, il Venerdì di Repubblica) e le foto si sono aggiudicate diversi premi e i riconoscimenti tra cui il “Single Shot” Festival della fotografia etica; il World Peace Photo Award; il First prizephotography “Champion of Equality; il secondo posto a “Roma Fotografia.

L’esposizione per Merano è ideata da Mattia Bidoli, prestigiatore professionista e fotografo, ha collaborato con diverse associazioni e ONG presso ospedali pediatrici e oncologici, campi profughi e zone di guerra. È il fondatore della Photography School, scuola di fotografia nata all’interno dello spazio protetto e dedicato alle donne “Casa Base”, nel campo profughi di Diavata (Grecia).

È nato il suo impegno per aiutare l’altro, che l’ha presto portato oltre confine in paesi come Bielorussia, Grecia, Iraq e Iran. Mattia ha poi mostrato agli studenti il montaggio di alcune sue foto da lui scattate durante la sua attività al campo profughi di Diavata. Immagini in bianco e nero, di giovani donne e di madri, dei loro bambini in lacrime, del mare che ha portato via fin troppe vite.

Testimonianze di donne profughe: Masoume, una giovane donna, nata in Iran e cresciuta in Afghanistan, Masoume ha vissuto per un periodo nel campo di Diavata. Il suo intervento a distanza ha offerto agli alunni la possibilità di ascoltare la sua preziosa testimonianza di profuga e donna. Tramite la fotografia, infatti, Masoume ha saputo raccontare il dolore della migrazione e della violenza contro chi non può difendersi, ma anche la solidarietà che ha trovato nella scuola di fotografia. E sono proprio alcuni dei suoi scatti quelli che lei ha commentato, svelandone il contesto e il significato personale. Masoume nel rispondere ai ragazzi ha confidato le sue emozioni più intime durante i momenti di difficoltà e i suoi piani per l’avvenire. Ed è proprio questa sua spinta per il futuro, nonostante il passato travagliato e doloroso, che ha fatto emergere il suo instancabile ottimismo.

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