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“Chissà, la cultura potrebbe essere il cavallo di Troia delle donne”

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Johanna Porcheddu segue con coraggio e passione il percorso a lei destinato: come operatrice culturale, attrice e – da qualche mese – come direttrice del Theater in der Altstadt di Merano. Nell’intervista rivela come vede il lavoro culturale, il teatro ed il suo nuovo ruolo.

Come è nata la tua passione per la recitazione e come sei approdata al teatro?

La prima volta che ho assistito ad uno spettacolo teatrale è stato al Nikolaussaal di Merano, uno spettacolo per bambini del Theater in der Klemme, con la regia di Franco Marini, “Stockerlock und Millipilli”, avevo forse 6 o 7 anni. Ne rimasi folgorata. Poi, da adolescente, ho seguito tutte le rappresentazioni teatrali che venivano ospitate al Puccini di Merano, sia quelle tedesche del Kulturinstitut, che quelle italiane, portate dallo Stabile di Bolzano. Ma mai avrei pensato di essere io a poter calcare un palcoscenico. Una profonda crisi esistenziale alla soglia dei vent’anni mi ha poi spinto verso l’impensabile, l’inatteso. Ho abbandonato la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Moderne a Bologna, ho conosciuto nuove persone, tra le quali Giorgio Degasperi e Piet Oberdörfer, ma soprattutto Franco Marini, ho mosso i miei primi, sorprendenti ed emozionanti passi su un palcoscenico, sono entrata a far parte del Theater in der Klemme, mi sono iscritta alla scuola di teatro del Teatro Stabile di Bolzano, mi sono reiscritta al DAMS di Bologna e ho imboccato la strada che tutt’ora percorro. La mia passione per il teatro, infondo, è nata dalla difficoltà e dal dolore di vivere, ma mi ha insegnato, e tutt’ora mi insegna, a stare al mondo.

Johanna Porcheddu come pinguino nello spettacolo teatrale per bambini ‚An der Arche um Acht‘, Foto: Andy Marini
Quali ruoli ti corrispondono?

È una domanda alla quale mi è difficile rispondere, forse bisognerebbe chiederlo ai registi o al pubblico. Ogni ruolo racchiude in sè delle difficoltà e delle sorprese. Ogni personaggio merita rispetto e va faticosamente conquistato, anche il piu apparentemente insignificante. Diciamo che ho notato, come certi ruoli non mi siano mai stati affidati, per intenderci, i ruoli delle “Giuliette”, delle ”Gretchen”, delle “Ophelie”, delle belle e dolci fanciulle, amate dagli eroi…. Vorrà dire qualcosa?

Cosa ti ha spinto a rimanere nel teatro, invece di scegliere una professione piu redditizia e sicura?

A volte mi incaponisco nelle cose…..

A parte gli scherzi, non lo so. È come se non mi fossi mai posta la domanda, semplicemente non ho mai risposto di “No” al teatro e da una cosa ne è nata un’altra e così fino ai nostril giorni. Anche se effettivamente qualche scelta l’ho indubbiamente fatta nel corso degli anni ed evidentemente ha vinto sempre il teatro….. Sarà questa la passione?

Johanna Porcheddu nello spettacolo teatrale ‚König Lear‘, Foto: Andy Marini
Fai parte del gruppo teatrale femminile Phenomena con altre colleghe di teatro: perchè è stato costituito e cosa volete trasmettere al pubblico?

Il Gruppo è stato fondato ormai già 25 anni fà, in un momento in cui il teatro femminile non era ancora “di moda” e i ruoli e gli spazi per le donne erano esigui: molti ruoli secondari, di comprimarie, “condannate a servire” il o al collega maschile, che così poteva brillare di luce (non solo) propria. Era ora di fare qualcosa, di inventare un teatro al e per il femminile, di conquistarsi degli spazi, dei ruoli, dell’attenzione.

Ci hanno sempre interessato, e tutt’ora ci interessano, le tematiche femminili, intese sorpattutto come zone d’ombra, problematiche irrisolte, piaghe da denunciare e sanare, in cui ingiustizie, disuguaglianze e conflitti mostrino il vulnus della società. Senza dimenticarci però dell’ironia, soprattutto dell’autoironia. Niente di più pericoloso del non saper ridere di sè, dei propri e degli altrui difetti. Ultimamente la situazione per fortuna sta cambiando e anche la drammaturgia contemporanea sembra aver scoperto le donne, tanto che gruppi femminili, testi e ruoli interessanti si moltiplicano.

Sei succeduta a Rudi Ladurner nella direzione del Theater in der Altstadt. Come vedi il tuo nuovo lavoro?

Con un pò di ansia. E tanta voglia di capire e scoprire. Pensare di poter sostituire Rudi Ladurner è impossibile. Sarà mio compito consolidare ciò che lui ha creato e costruito intorno a sè e trovare una (mia) via nuova per proseguire un lavoro di creazione ed espressione teatrale così importante e vitale per Merano, e non solo. Gli anni a venire mostreranno di che pasta sarà fatto questo nostro “nuovo” piccolo teatro.

Johanna Porcheddu e Raimund Marini nello spettacolo teatrale ‚König Lear‘, Foto: Andy Marini
In un piccolo teatro, immagino che questo significhi anche essere una tuttofare, come vivi questa esperienza?

Faccio fatica a concepire diversamente il lavoro di teatro in genere. Per me il teatro non finisce o non comincia solo in scena. Teatro per me ha sempre significato occuparsi di più cose, di questo sicuramente sono “colpevoli” anche e soprattutto i miei “maestri”, Franco Marini e Rudi, che certo non temevano di sporcarsi le mani, ma il “fare teatro” racchiude in sè talmente tante cose, (dalla drammaturgia ai costumi, alle luci, alla scenografia, agli oggetti di scena, alla cura degli spazi, all’accoglienza del pubblico, fino ovviamente alla regia e alla recitazione, per non parlare poi di tutto il lato organizzativo), che sarebbe riduttivo considerare solo ed esclusivamente alcuni aspetti.

Inutile dire che l’altra faccia della medaglia è una vita molto faticosa, in cui l’autosfruttamento e il sovraccarico sono all’ordine del giorno. In un teatro così piccolo, per ovvi motivi economici e strutturali, tutto il lavoro ricade sulle spalle di poche persone. E ora che sono venute a mancare le spalle larghe e forti di Rudi, il peso si fa ulteriormente sentire.

Per il lungo processo che porta un’opera teatrale fino alla performance, ci vuole tanta pazienza e perseveranza, ma forse anche umiltà?

Nella mia visione delle cose non mi viene in mente nessuna disciplina o attività, che possa fare a meno dell’umiltà.

Come vedi il significato del teatro nel mondo di oggi?

Non indispensabile, ma necessario e insostituibile, come nel mondo di ieri e di domani.

Johanna Porcheddu e Patrizia Pfeifer nello spettacolo teatrale ‚Die Liste der letzten Dinge‘, Foto: Andy Marini
Come vivi il tuo ruolo di donna nel mondo della cultura?

Nello stesso modo in cui vivo in genere il mio ruolo di donna nella società odierna. Ci sono vari aspetti che concorrono alla complessità contemporanea del ruolo femminile nella nostra società: da un lato, io stessa sono talmene abituata alle norme comportamentali e culturali, che spesso non mi rendo nemmeno piu conto, che per essere presa sul serio o per essere considerata devo fare e dimostrare il doppio di un uomo e colpevolmente combatto con atavici sensi di inferiorità e insicurezze (tipicamente) di genere. Spesso lotto con me stessa e fatico nel riconoscermi autorità e autorevolezza, è come se dovessi giustificare in primis a me la possibilità di prese di posizioni piú dure o decise. D’altra parte, mi rendo conto che noi donne, comunque, ci misuriamo su modelli di potere maschili, senza avere ancora dei riferimenti propri, magari completamente diversi, ma altrettanto validi. Comunque tutt’ora, nei ruoli pubblici, la donna viene giudicata con molta piu severità e intransigenza di un uomo, e questo spesso dalle stesse donne. Il colmo della perversione è quando veniamo accusate di non essere migliori degli uomini: “Ma come, adesso che vi abbiamo concesso posizioni di potere, fate gli stessi errori dei vostri predeccessori maschili!!!“ È un ragionamento che mi fa imbestialire. Dovremmo avere gli stessi diritti degli uomini, persino quello di essere altrettanto pessime, inefficienti e criticabili! Ma è molto raro che questo avvenga, visto che persino per essere peggio, dobbiamo faticare di piú. A parte i parossismi, dobbiamo riconoscere che il mondo della cultura è sempre più spesso in mano femminile, penso soprattutto alla nostra provincia e al teatro: le VBB a Bolzano, la Dekadenz a Bressanone, ora anche parte del Kleines StadtTheater di Brunico, tutte donne, e questo mi piace molto! Certo, a voler fare i maligni, ciò potrebbe essere anche un segno del peso che viene effettivamente attribuito alla cultura nelle logiche politico-sociali, e poi, essendo la cultura un lavoro spesso faticoso e poco redditizio, sembrerebbe fatto apposta per le donne! Oppure, chissà, la cultura potrebbe anche essere il cavallo di Troia delle donne per entrare nelle mura fortificate del potere e dell’uguaglianza retributiva.

Il motto della tua vita?

Un solo motto?!? Non mi basterebbe mai.

Che saggezza hai acquisito nell’ultimo anno?

Nessuna saggezza che non sia già stata detta o scritta da persone ben più sagge e autorevoli di me.

Che cos’è per te il successo?

Riuscire ad essere in pace con se stessi e con il mondo circostante, ovvero poter fare ciò che si desidera fare, senza nuocere a se e agli altri, ma arrecando piacere e utilità.

Chi ammiri?

Chi ha la consapevole capacità dell’utilizzo contemporaneo e reciproco di intelligenza e cuore e ne fa un uso altruista.

Johanna Porcheddu, Sabine Ladurner e Patrizia Pfeifer nello spettacolo teatrale ‚Maultasch‘, Daniela Brugger

Intervista: Sissi Prader e Judith Mittelberger

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