Ilenia Fronza lavora presso l´Universitá di Bolzano, all´interno di un ambito particolarmente maschile: l´ingeneria del software. Lei non si fa certo scoraggiare, anzi semmai sente la spinta di dover fare il proprio mestiere con ancora piú passione e persistenza. Perché come ci ricorda: se un uomo è incompetente, allora è un caso isolato nel team; se invece una donna è incompetente, spesso si assume che le donne in generale siano incompetenti.
Cosa ti ha spinto a diventare ricercatrice in ingegneria del software?
È stato un percorso tutt’altro che lineare, diciamo un avvicinamento “a tappe”. Dopo aver studiato matematica, ho trovato ottimi stimoli per la mia ricerca nell’informatica (e in specifico nell’ingegneria del software). Inoltre, il fatto di concentrare la ricerca nell’ambito di software engineering education and training mi ha permesso di mantenere uno stretto contatto con studenti e studentesse e professionisti/e, cosa di fondamentaleimportanza per me, dato che ci tengo molto al contatto diretto con le persone.
Cosa sognavi di fare da piccola?
Onestamente non me lo ricordo. Credo di aver espresso i classici sogni di ogni bambina che, com’è ben noto, di solito spaziano da “ballerina” a “maestra” passando per “astronauta”. Di sicuro, ricordo di aver avuto una forte curiosità e voglia di capire e imparare, quindi ho sempre studiato e letto molto. E poi, crescendo, ho eliminato dalle opzioni i lavori che avrebbero potuto essere troppo ripetitivi, quelli in cui mi sembrava che ogni giorno avrebbe potuto essere uguale all’altro. In questo, direi che sono riuscita: un aggettivo che di certo si addice al mio lavoro è “che non é noioso”– raramente due giorni si assomigliano, e ogni giorno ci sono sfide, incontri, e anche (ahimè!) problemi diversi da affrontare.
Hai riscontrato difficoltà in quanto donna all’interno di un mondo informatico in prevalenza ancora maschile?
Vorrei poter dire semplicemente “no”. Invece, la risposta è un po’ più articolata, anche perché non vorrei che fosse archiviata come la “tipica risposta da femminista”. Diciamo che di difficoltà ne ho avute, e ne ho, molte. Però, ho sempre cercato di evitare di pensare che le difficoltà fossero dovute all’essere donna, forse anche per non scoraggiarmi troppo. Detto questo, per poter davvero rispondere, forse dovrei provare a lavorare in un ambiente
a prevalenza femminile, per poter fare un paragone. Scherzi a parte, guardando al mondo del lavoro in generale, mi sembra di notare in molti ambiti una certa tendenza a generalizzare. Mi spiego: se un uomo in un team è incompetente, allora è un caso isolato nel team; se invece una donna è incompetente, allora si sentono affermazioni come “eh, le donne sono incompetenti”. Per questo, spesso mi sembra che le donne partano già con una “penalità”: prima devono dimostrare di essere donne MA competenti, e poi possono iniziare a sperare di essere paragonate equamente al resto del team (cosa che dovrebbe essere scontata, no?). Altro esempio: alcune amiche mi raccontano della loro frustrazione quando vengono “additate” perché si assentano per accudire i figli mentre, in analoghe situazioni, i loro colleghi sono definiti “padri attenti e presenti”.
Detto questo, non voglio scoraggiare nessuna, anzi! Si sono fatti molti passi avanti, e credo che ognuna di noi possa contribuire a continuare sulla strada giusta, senza lamentarsi o addirittura rinunciando a un proprio obiettivo, ma anzi cercando nel proprio piccolo di far superare stereotipi e pregiudizi che si incontrano sulla propria strada. Non è facile, ma conto anche sul fatto che sempre più uomini non si lascino guidare, appunto, da vecchi modi di ragionare. Insomma, bisognerebbe “fare squadra” per creare ambienti di lavoro inclusivi, in cui i bisogni di lavoratori e lavoratrici sono presi in considerazione con la stessa attenzione e rispetto, di qualsiasi bisogno si tratti, senza obbligare nessuno/a a farsi da parte.
Ti hanno mai chiesto di scegliere tra famiglia e carriera?
Anche questa è una domanda piuttosto spinosa. Diciamo che, in generale, secondo me spesso non si tratta di un momento preciso in cui viene chiesto di scegliere tra le due cose; piuttosto, direi che quando il lavoro si fa più intenso e competitivo, si fatica a dare un limite al lavoro per dare spazio alla vita privata in generale (quindi anche per amici, sport, letture, cura della casa, relax). D’altra parte, nella competizione per progredire nella carriera, tipicamente viene apprezzato chi lavora anche dopo l’orario d’ufficio o nei fine settimana, e
garantisce sempre piena disponibilità. Chiaramente, un sistema di questo tipo mette in seria difficoltà chi (donna o no) ha – e vuole giustamente avere! – degli impegni extra lavorativi. Poi, siccome le incombenze “casalinghe” spesso sono affidate alle donne, molte arrivano
ad un certo punto a rinunciare a “fare carriera”. In sostanza, forse, andrebbero cambiate le “modalità di competizione”, ma non è certo un obiettivo a breve termine. Detto ciò, credo che sia importante mantenere un equilibrio tra sfera privata e lavorativa, perché credo giovi
anche produttività, e garantisce anche le dovute attenzioni a chi ci sta vicino, anche nei momenti di lavoro più intenso. Nei momenti di massima intensità lavorativa, quando questo equilibrio è davvero difficile da mantenere, credo si capisca l’importanza di poter contare sulla pazienza e sul supporto di chi si ha vicino
Che cosa significa avere successo per te?
In ambito lavorativo, per me successo significa fare quello che ti piace, ma anche essere apprezzati per quello che si fa, e vedere riconosciuti i propri sforzi. Altrimenti, poco a poco, si rischia di “spegnersi”, di perdere la motivazio
Cosa ti rende felice al di fuori del tuo mestiere?
Questa è facile: vedere serene le persone a cui voglio bene.
Esiste una donna che ammiri?
Certo, ma devo dirne una sola? Ne ammiro tante e per motivi diversi. Ammiro donne di spicco, una tra tutte l´astronauta Samanta Cristoforetti. Ma ammiro anche tutte quelle donne “non famose” che lavorano sodo e fanno lavori anche umili, precari, e magari senza tutele. E lo fanno a testa alta, senza arrendersi. Ecco, bisognerebbe parlare di più anche di loro, come esempio di tenacia e dignità
Il tuo motto di vita?
Sempre avanti, a testa alta.
Piani futuri?
Raggiungere una stabilità lavorativa maggiore e finalmente riuscire a fare piani a lungo termine.
Intervista Sarah Trevisiol