Oggi vi presentiamo l’argentina Cecilia Munoz. Anche noi, il Museo delle Donne di Merano, abbiamo avuto modo di conoscere ed apprezzare la sua creatività contagiosa.
La madre di due figli ci racconta della sua vita, del suo femminismo e del suo sogno di un mondo migliore…
Tu sei dell’Argentina. Ci puoi raccontare da dove esattamente e come hai passato la tua infanzia/gioventù?
Sono nata in Patagonia, Argentina, una terra magica al sud del mondo. Terra di vento e paesaggi vergini sospesi a metà tra passato e presente, con un’estensione di oltre 900.000 km² e con la più bassa densità di popolazione al mondo, 2 abitanti per km². Un luogo affascinante e misterioso, caratterizzato da spazi immensi, da una natura rude e selvaggia; la terra della “fine del mondo”. Tanto è affascinante la natura come difficile è la vita. Da giovane mi piaceva cantare (canto corale) e per farlo percorrevo 120 chilometri in due ore di viaggio, due volte la settimana, fino alla città più vicina dove si trovava un coro universitario per poter cantare circa un’ora per poi fare altre due ore di viaggio per ritornare a casa. Ho sentito per tutta la mia infanzia e gioventù, che le mie aspirazioni culturali e artistiche erano faticosamente esaudite o non era possibile di realizzarli perché mi trovavo in un posto sperduto nel mondo. Comunque non mi lamento della mia formazione. Ringrazio tanto alla mia terra. Ho fatto quello che ho potuto e continuo a farlo.
Ho conosciuto anche tua sorella e ho visto che siete molto legati come famiglia. Penso che in Argentina la famiglia abbia un grande valore.
Si, la famiglia ha un ruolo importante in Argentina come anche l’amicizia e i rapporti umani in generale. La comunicazione interpersonale è molto spontanea e naturale nel mio paese, e ancora di più in Patagonia, dove l’essere gentile è quasi una forma di sopravvivenza. Esiste il bellissimo concetto di “Gauchada”, deriva della parola Gaucho (mandriano a cavallo delle pampas argentine) La Gauchada è “l’aiuto disinteressato che si da a una persona” . Beh, se in Patagonia non hai quest’atteggiamento solidale e gentile, non vai molto lontano.
La mia famiglia viene a trovarmi tutti gli anni, la mia mamma, le mie sorelle, i miei nipoti e miei amici. In questo momento, a causa della Pandemia, non li vedo da un anno e mezzo. Ma li sento ogni giorno.
Come passi il tempo con i figli e la famiglia?
Abbiamo una vita semplice. Ci piace stare insieme. Casa nostra è un posto molto armonioso. Ascoltiamo musica tutto il giorno e cantiamo. I nostri figli ci propongono brani stupendi che non conoscevamo e io propongo loro la musica della mia terra. Ascoltiamo di tutto, jazz, tango, rock, musica rinascimentale, lirica, pop, folklore di diversi popoli, ecc. Ci piace cucinare insieme. Facciamo passeggiate e viaggi. I nostri figli praticano sport quindi siamo sempre dietro alle loro attività. Destiniamo anche tanto tempo alle amicizie.
Cosa ti ha portato qui in Alto Adige?
Durante un viaggio nell’America centrale, ho conosciuto mio marito, un incontro meraviglioso con una persona meravigliosa, e dopo quattro anni di viaggi, andata e ritorno tra l’Italia e l’Argentina e viceversa, ci siamo sposati in Patagonia e sono venuta a vivere qui. Quest’anno sono vent’anni insieme. Abbiamo due figli bellissimi.
Se non sbaglio hai fatto anche degli studi in Argentina e poi anche qui da noi ti sei sempre formata.
In Argentina ho studiato pedagogia, lingua e letteratura spagnola. Quindi lavoravo prima come insegnante di scuola materna e dopo come professoressa di lingua spagnola in una scuola media-superiore. Sono molto curiosa e continuo ad autoformarmi nei diversi campi che mi interessano, ma in maniera informale. Vorrei tanto tornare a studiare all’università appena che mia figlia piccola sia più autonoma.
Ho visto che sei molto creativa e cerchi anche di cooperare con tante istituzioni. In quale altro campo lavori e cosa sono le tue preferenze?
Mi affascina la narrazione in tutte le sue forme; la narrazione per abbattere barriere interpersonali, la narrazione come veicolo per la reciproca conoscenza e il dialogo interculturale. In Patagonia e nella mia famiglia in particolare, la pratica dell’oralità è molto esercitata. Poi arrivando qua e lavorando con donne provenienti da tutto il mondo ho capito che la narrazione orale di solito passa dalla bocca delle donne. Storie, canzoni, detti, ricette, sapere medicinale de altre espressioni del patrimonio orale tradizionale sono conservate, di solito, nella memoria femminile delle famiglie.
Accompagnano i miei racconti con burattini che costruisco riciclando gommapiuma di vecchi materassi. Sono burattini molto espressivi e di grande misura.
Queste sono pratiche che mi accompagnano da quando ero una bambina, insieme alla lettura e alla scrittura, che volentieri condivido e metto a disposizione nella vita sociale.
Per te è molto importante che le donne abbiano pari opportunità e ti impegni anche come donna „femminista“. Pensi che si possa raggiungere qualcosa?
Il mio femminismo è parte della mia utopia di un mondo migliore. Per questo la mia determinazione. Credo che ci siano ancora tante cose da cambiare. Le nostre madri hanno fatto tanto, noi un po’ meno. Ma adesso le giovani generazioni di ragazze e ragazzi portano nuova linfa e quindi è momento di muoversi insieme con loro verso cambiamenti nella coscienza sociale sui diritti umani, parità di genere, attivismo ambientale, politico, sociale, e spirituale. Proprio ora il femminismo è rinato in tutto il mondo, iniziando nel mio paese con il movimento” Ni una menos”.
La democrazia e la pace attiva non saranno possibili fino a quando noi donne non avremo parità dei diritti in tutti gli ambiti. Quando questo avverá, avrà luogo la reale democrazia.
Intanto, credo che la chiave sia ”el Empoderamiento”, l’ empowerment femminile. E qui la famiglia e l’educazione hanno un ruolo primordiale. Per me è stato fondamentale aver ricevuto parole rafforzanti da parte di mio padre e mia madre mi ha dato l’esempio. Mia madre ha lottato contro tutte le circostanze avverse per poter andare da Patagonia a Buenos Aires per terminare una laurea infermieristica; lei poi lavorava in un ospedale, condivideva con mio padre le faccende domestiche e si condividevano la cura delle figlie. Questi messaggi mi hanno incoraggiato a cercare la mia dimensione come donna e come essere umano.
C’è qualcuno che ammiri in particolare?
Quando mi sento scoraggiata, afflitta dallo sconforto della prepotenza, dall’autoritarismo, dalla mancanza di libertà, dalla disuguaglianza, dalla chiusura, del razzismo, della violenza, ecc. leggo una mia lista di persone che sono la mia bussola, mi indicano il mio “Sud”. In questa lista, che mantengo sempre aggiornata, scrivo il nome di persone che mi commuovono e ispirano per le loro imprese, persone buone, generose, oneste, misericordiose, persone perseveranti e tenaci che ammiro.
In testa alla lista si trovano la mia famiglia, mia madre, mio padre, le mie sorelle, mio marito, i miei figli e i miei nipoti. Poi seguono persone del mondo dell’arte, musicisti, contadine modeste, pensatrici e pensatori.
Esiste un motto che è diventato “tuo” negli ultimi anni?
Sogno un mondo, dove prevalga la pace come risoluzione creativa dei conflitti, una pace strutturale e culturale, una pace attiva e profonda e non come tante persone se la immaginano con ingenue colombe bianche.
Interview: Sissi Prader